"1. Competenza e prontezza nell'assolvere le proprie mansioni"
Competenza suona bene, se uno è competente ci si fida, siamo d'accordo. La parte inquietante è decisamente prontezza. Se non sei pronto, sei in ritardo. C'è un giudizio di valore dato alla velocità di assoluzione delle "proprie mansioni" che mi pare rischi di avere un timbro terroristico, e insieme suona come se fosse implicitamente definita una tendenza verso un puro miglioramento tecnico, una qualche propensione all'alienazione della produzione.
La natura è efficiente? Ha senso poi trasporre il significato di efficienza nella natura? La velocità di esecuzione delle mansioni in natura è un motore o una conseguenza? Io ritengo che sia una conseguenza. Lasciamo stare ghepardi e gazzelle che corrono per la pelle, non è questo il discorso- ciò che vorrei esprimere (e che non è chiaro neppure a me) è all'incirca questo: la distanza dell'uomo dai ritmi naturali aumenta in nome dell'efficienza, e questo è un danno sociale. Un'avanguardia tecnologica che non fa apprezzare il tempo individuale poichè è capillare nelle nostre giornate, frammentando in micro subroutine la percezione del mondo, fuori, sotto, sopra, dentro la terra- catalogando le attività in base al tempo che vi si dedica. Non a caso i termini usati in riferimento alla dimensione temporale sono gli stessi dell'economia. Guadagnare tempo in nome dell'efficienza. Guadagnarlo per spenderlo in seguito (magari lavorando) speculando sulla possibilità di avere più tempo in futuro. Tutto questo è orribile, mi sembra che ci sia un'orrore diffuso verso la staticità, verso la contemplazione, un accanimento per portare a livelli di fibrillazione i ritmi più lenti. Le conseguenze estreme di questa concezione credo di vederle nel ripugnante festino politico e ideologista che si sta facendo in questi giorni attorno alla terribile condizione di una donna e alla sofferenza della sua famiglia. La natura umana impone una fuga dalla morte? E' a questo che siamo ridotti? Giorno dopo giorno mi si riversa dentro una profonda inquietudine per questo mondo ipertecnologico, iperveloce, iperefficiente e fondamentalmente marcio.
La natura è efficiente? Ha senso poi trasporre il significato di efficienza nella natura? La velocità di esecuzione delle mansioni in natura è un motore o una conseguenza? Io ritengo che sia una conseguenza. Lasciamo stare ghepardi e gazzelle che corrono per la pelle, non è questo il discorso- ciò che vorrei esprimere (e che non è chiaro neppure a me) è all'incirca questo: la distanza dell'uomo dai ritmi naturali aumenta in nome dell'efficienza, e questo è un danno sociale. Un'avanguardia tecnologica che non fa apprezzare il tempo individuale poichè è capillare nelle nostre giornate, frammentando in micro subroutine la percezione del mondo, fuori, sotto, sopra, dentro la terra- catalogando le attività in base al tempo che vi si dedica. Non a caso i termini usati in riferimento alla dimensione temporale sono gli stessi dell'economia. Guadagnare tempo in nome dell'efficienza. Guadagnarlo per spenderlo in seguito (magari lavorando) speculando sulla possibilità di avere più tempo in futuro. Tutto questo è orribile, mi sembra che ci sia un'orrore diffuso verso la staticità, verso la contemplazione, un accanimento per portare a livelli di fibrillazione i ritmi più lenti. Le conseguenze estreme di questa concezione credo di vederle nel ripugnante festino politico e ideologista che si sta facendo in questi giorni attorno alla terribile condizione di una donna e alla sofferenza della sua famiglia. La natura umana impone una fuga dalla morte? E' a questo che siamo ridotti? Giorno dopo giorno mi si riversa dentro una profonda inquietudine per questo mondo ipertecnologico, iperveloce, iperefficiente e fondamentalmente marcio.